La decima vittima

Film

1965

Roma-New York

scenario
categoria
media
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cinema

Marcello Mastroianni

attore

Carlo Ponti

produttore

Tratto da un racconto di Robert Sheckley del 1953, La decima vittima (1965) è fra i film di maggiore ricezione americana di Elio Petri e un singolare cosmo d’espressione della moderna cultura visuale italiana degli anni Sessanta. La produzione è un successo su tutti i livelli, sia dal punto di vista filmico, per la sapiente concertazione di moda, architettura e arte made in italy, sia culturale, come artefatto che attesta l’ascesa dell’Italian style nell’America del dopoguerra.

Dopo la lettura del racconto di Sheckley e una prima visita negli Stati Uniti, Petri è inizialmente persuaso a girare un film che racconti la cultura americana nell’epoca dell’intrattenimento di massa. Coinvolgendo nell’adattamento filmico Tonino Guerra ed Ennio Flaiano, il film estende l’universo narrativo abbozzato da Sheckley nelle poche pagine de La settima vittima, ricollocando la vicenda nella Roma immaginaria del Ventunesimo secolo. Qui imperversa “La Grande Caccia”, un gioco di omicidi seriali gestito dallo Stato per incanalare e spettacolarizzare la violenza umana allo scopo di scongiurare possibili guerre. Il gioco, trasmesso in televisione e regolato da un concorso a premi, prevede il duello mortale fra un cacciatore designato e una vittima, accoppiati a loro insaputa da un selezionatore elettronico. Nel film Caroline Meredith (Ursula Andress) è una cacciatrice americana ingaggiata da una multinazionale cinese per recarsi a Roma e uccidere la sua decima vittima in diretta televisiva. La preda designata, Marcello Poletti (Mastroianni) è un veterano del gioco osteggiato da donne e televisione, che tenta di scamparla con la sua arma più letale, la seduzione.

Il film è una coproduzione italo-francese guidata dalla società Champion di Carlo Ponti, che si avvale della fondamentale (seppure non accreditata) collaborazione della Embassy Pictures di Joseph Levine il quale, oltre a distribuire il film in America, offre il capitale finanziario iniziale per girare la sequenza di apertura a Manhattan. Sebbene questo rimanga l’unico segmento girata negli States, le limitazioni di budget consentono a Petri di ampliare il suo discorso critico verso la cultura consumista globale, immaginando un futuristico blend fra stile di vita italiano e americano nel millennio che verrà. Qui il Papa è «americano», ma il culto più in voga è il Tramontismo, di cui Marcello è abile araldo e oppositore rispetto ai «maledetti neorealisti!» (riferimento non troppo velato a un certo affrancamento dal cinema Neorealista promosso da Petri e altri nel contesto americano).

Grazie a un taglio “avant-pop” allegramente cinico, l’opera colpisce fortemente il pubblico statunitense, permettendo a Petri di esportare oltreoceano un genere che coniuga la sua vocazione alla critica politica e sociale, che lo porterà all’Oscar nel 1971 con Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, col gusto popolare e i toni brillanti della commedia all’italiana, genere ormai affermatissimo negli States dopo i successi di critica e botteghino per I soliti ignoti (Monicelli, 1958) e Divorzio all’Italiana (Germi, 1961), entrambi con protagonista Marcello Mastroianni. 

Oltre al marchio di garanzia di Levine, la promozione americana del film si avvale infatti della figura divistica di Mastroianni, scelto personalmente da Ponti in vista della distribuzione internazionale. Dopo la consacrazione transatlantica con La dolce vita (Fellini, 1960), nel 1962 l’attore italiano era sbarcato per la prima volta in America per presentare Divorzio all’Italiana che gli valse una copertura mediatica senza precedenti, rafforzando la sua immagine di latin lover moderno e cosmopolita. Come afferma Senses of cinema «A quel tempo, Marcello Mastroianni era una star internazionale, il cui lavoro era popolare non solo nella sua nativa Italia ma anche negli Stati Uniti; in breve, un attore che poteva, nel linguaggio del mestiere ‘avviare un film’». Ma la nuova interpretazione di Mastroianni (qui in un’inedita acconciatura bionda) a cavallo fra il tenebroso damerino della dolce vita romana e il goffo seduttore patrizio di Divorzio all’italiana, ritrae un’originale quadro della mascolinità moderna, richiamando il gangsterismo chic di Frank Sinatra e strizzando l’occhio alla sofisticata letalità di James Bond.

Esemplare nel film è il dialogo creativo fra le diverse espressioni del made in italy, che assomma su di sé le specificità visuali di ogni linguaggio sfruttandone il cachet culturale transatlantico maturato nel secondo dopoguerra.

L’ideazione dei costumi è affidata all’eclettico Giulio Coltellacci che ne assegna la realizzazione all’atelier delle Sorelle Fontana che, impegnate nel guardaroba di Ursula Andress, sperimentano l’uso dei tessuti sintetici e dei tagli ispirati all’immaginario lunare dell’epoca. Del vestiario di Mastroianni si occupa invece lo stilista Bruno Piattelli , che grazie al sodalizio con l’attore romano nel primo film di Petri, L’assassino (1961), aveva reso il suo paletot di tweed impermeabilizzato una vera e propria “mania” nella moda internazionale. In questo caso, Piattelli realizza un abito nero dallo stile minimalista che elimina i bottoni in favore del velcro, enfatizzando la futuribile e suadente seduzione del personaggio. Come ha notato Anna Battista, Coltellacci e Petri usano inoltre i costumi per veicolare la satira di altri generi all’italiana famosi in America: l’ostentato sfarzo dei peplum, le atmosfere marziali dei western e l’esotismo del fortunato ciclo dei “mondo movie”.

La colonna sonora jazzata, a tratti delirante, composta da Piero Piccioni e cantata da Mina, dialoga con l’avanguardistica e variegata esposizione di interni e oggetti di scena curati dallo scenografo Piero Poletto, già distintosi per la collaborazione da Oscar con Michelangelo Antonioni, e dall’artista Alberto Biasi, esponente del collettivo padovano Gruppo N. Proprio nel 1965, Biasi partecipa come membro del gruppo a The Responsive Eye, storica esposizione d’arte cinetica curata da William Seitz per il Museum of Modern Art di New York. Gli ambienti della mostra, che vengono riallestiti anche a St. Louis, Pasadena e Baltimora, puntano all’intrigo ottico con lo spettatore e presentano diverse similitudini visuali col film di Petri. Prediligendo la bicromia e gli effetti di sfondamento prospettico, le impronte di Poletto e Biasi caricano le immagini di un appeal fumettistico ed espressionista, incorniciando i personaggi in un’atmosfera surreale e minimalista con riferimenti incrociati alla pop-art americana e all’op-art italiana. Il grande occhio ispirato a Look! di John Tylson che appare nell’appartamento di Marcello è un’immagine iconica del film, che ricompare sulla copertina dell’edizione statunitense della colonna sonora di Piccioni, così come le opere di op-art corredano diversi poster e immagini promozionali del film. 

In contro tendenza con i canoni dello “space age pop”, Petri racconta il futuro attraverso una dialettica architettonica che abbina il modernismo italiano (girando molte scene nel complesso architettonico dell’Eur e arricchendo gli interni di oggetti e arredi di design) con l’architettura della Roma antica (fra cui spiccano le scene d’azione girate nei pressi del Colosseo e al Capitolium di Ostia Antica). Il film, che si apre con un campo lungo sulle volte smembrate della stazione di Penn Station, indugiando poi su un’autogrù tricolore, sembra voler connettere l’ambiente newyorkese col paesaggio architettonico romano immortalato a volo d’uccello nella sequenza successiva. «Roma antica ha sempre funzionato sugli americani», dirà la troupe di Meredith in cerca della location ideale per trasmettere l’omicidio, «venire a Roma per girare in studio è una follia».    

In linea con gli spazi, anche i corpi vengono modellati con abiti che enfatizzano il gioco con le architetture, grazie al ricorso di tessuti platici e fluorescenti – prevale il giallo per Mastroianni e il fucsia per Andress – che contrastano cromaticamente con gli sfondi appastellati della Roma antica e gli interni dominati da superfici bicrome e translucide. Da questo dialogo spaziale, emergono caratterizzazioni femminili moderne in grado di coniugare erotismo e autonomia, bellezza e pragmaticità, come nel caso dei personaggi di Andress e Elsa Martinelli.

La concertazione filmica di questi elementi rende La decima vittima un’opera manifesto di una “cultura visuale” del made in italy che si andava consolidando negli Stati Uniti del dopoguerra. Un immaginario costruito sull’associazione fra il sostrato antico del Bel paese (con riferimenti ai fasti imperiali e l’artigianalità rinascimentale) e il modernismo del miracolo economico (espresso nell’eccellenza delle arti e dell’impresa, e da una certa libertà dei costumi) che Petri sembra combinare in virtù di un’estetica e un’attitudine comuni.

La decima vittima godrà di una popolarità inaspettata e duratura, tanto da indurre lo stesso Sheckley a realizzare un romanzamento del film e due spin-off letterari (Victim Prime e Hunter/Victim). Il “reggiseno armato” con cui Caroline uccide la sua nona vittima nell’incipit, diviene un accessorio altrettanto iconico tanto da guadagnarsi la copertina del nuovo romanzo. Se nel 2017 il MoMa annovera l’opera fra i film di maggior impatto per la cultura New Wave newyorkese degli anni Settanta e Ottanta, fortunate saghe americane come quella di Austin Powers e Hunger Games, rivelano un certo debito col film che, in tempi non sospetti, ha anticipato un discorso critico sull’attuale format dei dating reality show. Come recentemente ammesso da Dave Kher sulle pagine del Times: «Petri vinse l’Oscar per il suo film del 1970, di gran lunga superiore, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, ma è La decima vittima che resterà nell’immaginario collettivo».

Vettori collegati

Sorelle Fontana

Fashion Designer

Marcello Mastroianni

attore

Carlo Ponti

produttore

New York

Joseph E. Levine

Distributor/Producer

Piero Poletto

Scenografo

Giulio Coltellacci

Costumista/Scenografo

Fonti

Portis, Larry (2010), “The Director Who Must (Not?) Be Forgotten: Elio Petri and the Legacy of Italian Political Cinema, Part 1”, Film International, Vol. 8, No. 2, pp.17-29.

Battista, Anna (2008), “The killing game: glamorous masks and murderous styles in Elio Petri’s La decima vittima”, in Uhlirova, M. (a cura di), If looks could kill: Cinema’s images of fashion, crime and violence, Londra: Koenig Books.

Crowther, Bosley (1965), “Screen: Mastroianni vs. Miss Andress:Futuristic '10th Victim' Opens at 2 Theaters”, The New York Times, December 21, https://www.nytimes.com/1965/12/21/archives/screen-mastroianni-vs-miss-andressfuturistic-10th-victim-opens-at-2.html

“The Responsive Eye”, https://www.moma.org/calendar/exhibitions/2914

Kher, Dave (2011), “Beware of Killer Brassieres, and Don’t Die at Midnight”, The New York Times, September 30, https://www.nytimes.com/2011/10/02/movies/homevideo/the-10th-victim-and-the-phantom-carriage-on-video.html

Crespi Morbio, Vittoria (2017), Coltellacci. Teatro Cinema Pittura, Parma: Step Editrice.

Robert Hawkinsrome (1965), “Will Marcello Become 'The Tenth Victim?’”, August 15, Section x, p. 7.

Scheda redatta da: Giuseppe Gatti